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2011/2012 Lorenzo Casali

Elaborati prodotti durante il corso di Metodi e Tecniche dell'Arteterapia, tenutosi presso l'Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino, anno accademico 2011/2012.

Autore:

Lorenzo Casali

 

Mesi fa, quando mi iscrissi al corso avevo una o due definizioni di arte in testa, suonavano più o meno così: “Arte come compenso ad uno squilibrio” e “Arte come lenitivo”. Entrambe si riferivano ad un problema che trovo tuttora fondamentale, cioè la possessione di un cervello sviluppato da parte dell'essere umano, che lo porta immancabilmente ad avere coscienza di se e quindi coscienza delle proprie sofferenze. Questo tipo di autocoscienza lo porta oltretutto all'alimentazione delle sofferenze patite, poiché il cervello è anche “costruttore” in grado quindi evolvere e mutare ciò che esso stesso concepisce. Lo squilibrio a cui mi riferisco invece deriva da un ulteriore caratteristica propria di questo organo: la sua divisione in due emisferi funzionanti per contrasto, che possiedono caratteristiche diametralmente opposte ed equivalenti. L'emisfero sinistro, che credo si possa definire “razionale” e quello destro, che indicherei come “Irrazionale”. In quel periodo leggevo, per interesse personale, una guida intitolata “Disegnare con la parte destra del cervello” in cui l'autrice, Betty Edwards, spiega di come si possano acquistare buone capacità nel disegno figurativo attraverso un sistema di esercizi utili a sviluppare l'uso dell'emisfero destro, l'unico in grado di “vedere” le cose per come stanno e di riprodurle su carta.

L'emisfero destro, secondo l'autrice è legato a rappresentazioni simboliche, razionali, che finiscono col sovrapporsi, durante la rappresentazione di un qualsiasi soggetto, a ciò che realmente si dovrebbe intuire, azione possibile solo dall'altro emisfero, quello destro appunto. Il libro più che insegnarmi qualcosa, mi sembrò più una rivelazione verso qualcosa che già da tempo possedevo, ma a cui non riuscivo a dare un origine, ossia una spiccata capacità nel disegno. Il primo ricordo che possiedo in questo senso risale all'asilo S.Ambrogio di Cremona nel quale i miei genitori mi inserirono assieme a mio fratello, nei primi anni della mia vita. Fu naturalmente un trauma che ricordo benissimo, la prima separazione dai genitori, ricordo che piansi tanto da fare arrivare in ritardo mio padre al lavoro di una mezzora buona. Vi era inoltre una certa difficoltà e scarso interesse nella relazione con gli altri bambini data, credo, dal rapporto esclusivo che legava me e mio fratello. Abituati, in casa, a bastare a noi stessi nei giochi e nelle litigate. Un problema poi scomparso negli anni, relativo alla condizione di gemelli eterozigoti, non così dipendenti l'uno dall'altro come le coppie omozigote, ma a quel tempo presente dati i pochi anni di vita. La prima soddisfazione personale, oltre alle prime fidanzatine, fu il disegno di un aeroplano attorno a cui volavano degli uccelli che per la prima volta reinterpretavo slegandomi dalla classica rappresentazione a “v”metodo simbolico che ancora molti adulti usano alla richiesta di rappresentare un uccello in volo. Ricordo che ricevetti complimenti, ma non ricordo da quale maestra. Non mi interessava allora e non mi interessa tuttora. Credo sia il primo sintomo dell'autoreferenza che con gli anni ho imparato a coltivare rispetto al mio lavoro. Quello che invece mi importava era il riconoscimento in sé e per sé nei miei confronti, rispetto a qualcosa che da me era nato ed a cui nessuno mi aveva mai spinto. Per la primissima volta venivo riconosciuto meritevole di stima, e grazie ad una capacità che sapevo essere esclusivamente mia. Benché consapevole degli innumerevoli sviluppi della mia personalità attraverso dinamiche slegate da questa capacità, rimane, il disegno uno dei capisaldi del mio Io, a cui mi riferisco sia nel rapporto con me stesso che nel rapporto con il mondo e con gli altri. Verso la prima media ero stupito di quanto fossero “infantili” i disegni dei miei coetanei ed anche quelli di certi adulti, perché associavo la maturazione personale ad una relativa maturazione nella capacità al disegno. Ricordo che davo un 'età mentale ai disegni, e spesso, se non sempre risultava molto bassa rispetto all'età effettiva dell'esecutore. Questo tipo di giudizio verso gli altri lo utilizzo ora ridimensionato. Riconosco ovviamente che ogni persona possiede ambiti di crescita differenti ed io stesso come già detto non faccio riferimento esclusivamente a questa capacità per testare il mio grado di maturazione. Tuttavia è molto interessante come, la mia capacità nel disegno, sia cresciuta ed evoluta slegata per la maggior parte da insegnamenti tecnici e di come evolva di pari passo con la mia crescita personale, quasi fosse un apparato proprio della mia persona, un riflesso diretto di quello che sono e di quelle che sono le mie evoluzioni. Durante questo primo anno accademico, la qualità dei miei lavori, non ha subito grossi cambiamenti, anzi, il semestre scorso al momento di valutare le copie da modella, al corso di pittura mi è stato assegnato un 29 addirittura per la primissima tavola realizzata come prova d'ingresso. Tutte le altre perdevano di qualità come perdeva di qualità il mio stato d'animo qui a Torino. Ho passato poi un lungo periodo che mi sembrava di inattività sia mentale che fisica che scolastica, in cui mi sentivo sempre stanco e nostalgico, in cui i mie disegni, senza una ragione logica, sembravano regredire ad uno stato più basso, nella mia scala mentale, assumevano l'aspetto di disegni “liceali” gli davo un età attorno alla terza superiore. E così mi sentivo io, ritornato bambino dopo anni di sforzi spesi a costruire una personalità messa in pericolo da tutti quei fattori che appartengono al primo anno fuori di casa, in una città più grande (Cremona conta 70 000 abitanti contro i 900 000 di Torino) in una casa nuova con coinquilini sconosciuti ed altre ragioni legate alla fine di una lunga storia affettiva che non mi sento di approfondire in questo scritto. Basti sapere che parte di quella costruzione apparteneva anche ad una crescita condivisa con una persona che qui veniva a mancare. Nell'ultimo mese di permanenza a Torino, tutto questo periodo di immobilità di cui parlavo ad amici come qualcosa di inspiegabile, è improvvisamente cessato, ed in pochi giorni tutto quello che mi tormentava è sparito di fronte ad una nuova e completa visione delle cose. Improvvisamente, tra quei conoscenti, con cui credevo di avere sempre avuto una comunicazione scarna e limitata alle circostanze, si sono invece rivelati legami di amicizia profondi in grado sia di supportarmi sia di farsi supportare, si è manifestato un affetto per e da certe persone che non credevo più raggiungibile, al di fuori della mia vecchia realtà. Mi sono sentito a casa quando a casa più non mi sentivo ed ho trovato fratelli e sorelle dove credevo ci fossero solo volti. Un consiglio datomi al volo da una professoressa, riguardo ai miei lavori ha fatto scattare poi la realizzazione di una serie di disegni radicalmente migliorati ed inspiegabilmente adulti rispetto ai precedenti, che davano l'impressione di realizzarsi da soli, tanto mi risultavano facili e spontanei, e con quelli ho avuto, come sempre, la conferma di un profondo ed inestinguibile legame tra quello che sono io e la mia espressione artistica.

Sono partito con una precisa idea in testa, nello scrivere questa relazione, e tutto si è stravolto nel mentre. Volevo relazionare il corso aggiungendovi piccole riflessioni personali e sono finito a relazionare pezzetti della mia vita con gli strumenti del corso, il che probabilmente si avvicina di più a quello a cui volevo arrivare io quando mi iscrissi.

Credo in generale che il problema dell'uomo sia la sua capacità di creare la propria realtà, a volte staccandosi ed escludendo quella degli altri, a volte facendosi sovrastare dalle realtà altrui, a volte rendendola un inferno a volte un paradiso. L'uomo nella sua realtà distacca ciò che riesce a comprendere da ciò che gli è incomprensibile, esattamente come il cervello distacca il conscio dall'inconscio rendendo tutto ciò che lo circonda una sua proiezione mentale.
Come può quindi comunicare con gli altri esseri umani, se tutto è condizionato dall'io?
Attraverso l'opera d'arte l'uomo parla di se. Ma solo parlando così sinceramente e così profondamente di se riesce a raggiungere quel livello di profondità per cui parla in realtà di chiunque. L'uomo attraverso l'arte in sostanza dice “Io sono fatto così!Questo è il mio mondo.”
e lo mostra perché gli altri possano dire “anche io ho il mio, non siamo tanto diversi” e magari uno ci si ritrova anche, nel mondo di qualcun altro.
Provengo da una famiglia cattolica, non bigotta né ottusa ma comunque fortemente credente. Durante la mia vita ho quindi praticato per anni tutti quei riti che contraddistinguono tale religione. In questi anni ho rinnegato più volte questo tipo di fede, e ne sono tuttora lucidamente distaccato. Ma ho capito una cosa fondamentale con cui mi sento di concludere questo scritto. In chiesa sentivo spesso recitare una formuletta, molto comune: Sia fatta la tua volontà. Ora, la platea ignara credeva e crede tuttora di riferirsi a Dio, quando la recita, ma io ho capito, in realtà, che non sta parlando ad altri che a se stessa. Non nel senso che parla a vuoto, come credevo fino a poco tempo fa, ma che davvero cambia solo il proprio nome, da uomo a Dio senza neanche accorgersene.
Esiste un solo essere che non ha altro al di fuori di se, esiste un solo essere capace di amare, un solo essere capace di odiare ed un solo essere che riesce anche a perdonare.
L'uomo solo può concretizzare la sua volontà par poi giudicarla.
Questa è l'arte.

Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.

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1: La prima modella, quella di prova. A parte la qualità della foto, vi è una consapevolezza anatomica tutto sommato efficace.

2: Volto della stessa modella durante il periodo di “depressione”.

3: Secondo volto per nulla somigliante, comunque non riuscito come disegno.

4: Un'anatomia, di quelle finali, dimostra una sicurezza ed una freschezza inesistente nei lavori precedenti.

5: Altra anatomia, ben più consapevole come opera.

6: Ultimo esempio di anatomia, dimostra una ritrovata coscienza, se vogliamo, “interna”.

7: Il disagio, concretizzato, è contemplabile e quindi ridimensionato.

 

 

 

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